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Amici autori e colleghi editori, oggi voglio presentarvi un editore che stimo molto, fondatore del marchio Acheron Books, che pubblica fantasy italiano e di cui ho a casa svariati titoli di autori emergenti e non (in un caso, persino di un autore nazionale bestseller, Livio Gambarini, oggi pubblicato anche da Piemme, del gruppo Mondadori). A dimostrazione del fatto che, talvolta, per pubblicare con editori Big, si può passare anche da editori “small”, ma che sanno davvero muoversi bene.

La verve di Mauro e del suo staff è evidente in tutte le fiere dove presenziano, e sono tante, sia di libri sia di giochi. Il catalogo Acheron, infatti, non è solo libri, ma anche giochi da tavola e giochi di carte.

Leggiamo dunque le parole di Mauro Longo per capire come funziona Acheron Books, dove sta andando e cosa bolle in pentola.

Buongiorno Mauro, vuoi parlarci un po’ di te e del progetto Acheron Books?

Acheron è un progetto editoriale nato qualche anno fa, che nasce piccolo, ma ha mire alte, sia in termini numerici che qualitativi. Innanzitutto, ha una visione editoriale ben precisa: pubblicare narrativa fantastica, di forte e riconoscibile matrice italiana – nei temi, negli scenari, nei personaggi, nelle citazioni – e diffonderla in tutto il mondo.

A questi pilastri iniziali si sono aggiunti nel tempo nuove colonne: le storie pubblicate devono sempre avere high concept quanto più possibile originali e comunicabili, e devono in teoria poter dare vita a delle proprietà intellettuali interessanti e spendibili anche su altri media. Dalle collane originali di narrativa ci siamo poi spostati di recente anche verso il mondo del gioco, dapprima con i librogame e, adesso, anche con i giochi di ruolo, due settori che sono molto vicini alla narrativa. A parte la forma tecnica di questi prodotti, tutti i parametri di cui sopra rimangono in essere.

Da vostra esperienza, come ha influito la pandemia Covid sul mercato dei libri? E nel filone del fantasy?

Le vendite sulla narrativa hanno avuto un forte rallentamento con la difficoltà di frequentare librerie e caffé letterari, e con il blocco delle fiere di settore, ma per fortuna noi abbiamo scelto di essere fin da subito presenti anche nei grandi e-commerce online, per cui il problema è stato molto limitato. I settori del librogame e del gioco di ruolo, per nostra percezione, non hanno avuto invece alcuna flessione.

Molto spesso, gli autori non hanno idea da dove partire per promuoversi. Cosa consigli a un autore emergente?

Consiglio di dimostrarsi una voce interessante e coinvolgente nel settore, di usare i social media, i blog, i podcast, Twitch o YouTube, di scrivere o parlare su testate riconosciute o e-zine, di recensire o presentare i libri degli altri, insomma di dimostrarsi una persona interessante, preparata e che abbia cose da dire e mostrare.

E ancora: trovare impiego o attività in qualche redazione piccola o grande, collaborare con case editrici e giornali, seguire corsi ed eventi di scrittura, toccare con mano il lavoro pratico della scrittura e dell’editoria, partecipare a concorsi, workshop, fiere, insomma essere parte di questo sontuoso e traballante carrozzone. Prima di andare in giro a proporre le proprie storie, conviene sempre essere ingranaggio di questa macchina e capirne un po’ meglio le dinamiche dall’interno.

Acheron ha una bellissima collana di giochi di ruolo, vuoi parlarcene?

Siamo partiti da poco più di due anni, ma abbiamo già degli ottimi titoli in catalogo, o in pre-ordine, sia nostri che in collaborazione con altre case editrici. In tutti questi casi, il nucleo fondamentale è quello del fantastico italiano: si passa dall’Italia primordiale e a tinte fosche di Primi Re, un horror-fantasy ambientato al tempo della fondazione di Roma, a Lex Arcana, che invece porta in scena un fantasy a tema romano, eroico e luminoso; da Brancalonia, che incarna completamente lo stile eroicomico italiano e cita tutta la letteratura e perfino la filmografia di riferimento, a Inferno, che permette di ripercorrere il viaggio oltremondano di Dante con il regolamento di Dungeons & Dragons. Tutti questi titoli hanno già cominciato – più o meno segretamente – dei percorsi paralleli su altri media, cosa che ne dimostra la grande potenza comunicativa.

Come funzionano le piattaforme crowdfunding, in merito al lancio di progetti editoriali? Sono fattibili anche per gli autori self publishers?

Per adesso è la domanda che tutti ci facciamo: quello che è ormai consolidato per il gaming, anche analogico (giochi da tavolo, librogame e giochi di ruolo, per esempio), può valere anche per narrativa, saggistica e graphic novel? Secondo me, la risposta è “sì”, purché si trovi la formula giusta e il giusto progetto da presentare.

Si tratta solo, come in tutte le cose, di farsi pionieri, imbroccare i primi risultati positivi e aprire la strada al settore. Dopotutto, se guardo i progetti di gioco di ruolo di qualche anno fa, invece che milioni di dollari vedo cifre cento volte più ridotte, e la stessa cosa avviene studiando i progetti per i librogame, dai primi fallimenti dei progetti creati prima del 2018 al recentissimo Alba che ha raccolto 10mila sottoscrittori e oltre 300.000 euro. Insomma: tutto si può fare, basta trovare la maniera giusta di farlo!

Grazie per il tuo tempo, Mauro, a presto.

Via le parole “grasso”, “nano”, “brutta” quando si scrive, in nome dell’inclusione e del politically correct. Ma non sono io, agente letterario, a dirlo, e la questione non riguarda solo gli autori emergenti, i self-publisher o anche gli scrittori professionisti. Qui la faccenda è seria, a partire dalla decisione della casa editrice Puffin Books di rieditare i libri dell’autore classico per bambini, Roald Dahl, a trent’anni dalla sua morte, cambiando alcune parole che lo scrittore aveva scelto in riferimento alla figura femminile, alle persone di bassa statura, ai personaggi con problemi di peso.

Una scelta criticata, discussa da più parti proprio in questi giorni, che apre un dibattito sociale, filosofico, culturale, morale e anche con risvolti legali. Gli articoli più letti al riguardo, nel mondo, parlano di minare con questa forma di censura la libertà di espressione di un autore deceduto, di cui hanno diritto solo gli eredi e, sebbene in taluni casi la prosa di Dahl sia – per un lettore moderno – “pesante” e piena di giudizi morali ed estetici, la protesta intellettuale sull’operazione Puffin Books riguarda anche la possibilità per i bambini e i ragazzi di oggi di contestualizzare, capire che una scelta stilistica era fatta in base a un modo di pensare e di agire adatto all’epoca in cui è stata scritta; si mina la possibilità di filtrare il messaggio e comprendere quanto un termine sia “sbagliato” e perché. Si toglie, insomma, la facoltà ai più giovani, durante la lettura, di avere una propria autonomia di pensiero e decidere cosa è giusto o meno.

Censurare un contenuto di un’opera, a partire anche dalle fiabe classiche (ad esempio con i lungometraggi della Disney), può avere anche risvolti pedagogici negativi: per una certa fascia di età, è fondamentale per lo sviluppo sapere che esiste il buono e il cattivo, il lupo, il mostro, il bene e il male. Tornare a leggere ai nostri figli, ad esempio, è un modo per spiegare e contestualizzare, per sviluppare il senso critico dei ragazzi e degli adulti che verranno.

Invece di cancellare o riscrivere i classici (fiabe o racconti che siano), io come agente letterario, ma anche come madre, auspico che i bimbi e i ragazzi di oggi possano fruire di qualsiasi medium (dalle serie tv ai videogame, passando per i libri e i graphic novel), anche quando possibile con la vicinanza di un adulto, che non vengano abbandonati a loro stessi durante la lettura o il gioco, ma che siano affiancati da delle figure di riferimento, ad esempio dagli stessi insegnanti nelle scuole, per parlare e dibattere e sviscerare paure o pensieri negativi.

Anche attraverso il filtro di un adulto e con il dibattito tra coetanei, infatti, un libro o un gioco fanno cultura, non solo per le parole usate da un autore. Cultura è ciò che resta nell’inconscio e forma il carattere, forse e soprattutto quando questo passaggio cognitivo viene fatto colpendo l’inconscio in modo crudo e diretto.

Cosa ne pensate voi, al riguardo? Attendo i vostri commenti e, come sempre, buona scrittura!

Aspirante scrittore, hai mai pensato che, oltre alla bellezza di scrivere, alla meraviglia del trasporre su carta le tue idee, al suono che ti suscita mille emozioni nel leggere ad alta voce le tue parole, all’idea folgorante che ti è venuta in mente proprio in quel momento lì, mentre stavi facendo quella cosa all’apparenza non importante… insomma, oltre a tutto ciò che è la bellezza di scrivere il TUO romanzo, quel che stai producendo su carta (su schermo!) è anche e soprattutto un PRODOTTO?

Per prodotto, intendo un mezzo per l’editore in primis (ma anche per te, autore) per ricavare un profitto. Nel marketing, un bene o prodotto è un oggetto o servizio che soddisfa i bisogni dei consumatori. Lo so, quel che sto dicendo non è più così “romantico”, vero? Bene, amico o amica aspirante scrittore (scrittrice), se leggendo hai moti di rifiuto, allora cambia subito pagina e non leggere oltre. Perché è anche giusto che tu continui col tuo sogno di artista delle parole. Se invece, hai intuito anche tu che questo settore (l’editoria) è un settore economico come un altro, nel momento in cui contatti un agente letterario, un editore e chiedi (perché la tua è una richiesta legittima) che i tuoi lavori vengano pubblicati e adeguatamente retribuiti, allora bisogna che apri i tuoi occhi e orecchie e leggi con attenzione quest’articolo. Perché sì, hai capito che il tuo libro nel cassetto, quello su cui hai sudato tanto, ora va commercializzato, venduto al giusto target, col giusto piano di marketing e il packaging che più richiede il pubblico di riferimento. Questo è senz’altro lavoro dell’editore, ma tu autore in erba puoi fare molto ancora PRIMA di scrivere.

Intanto, puoi fare una ricerca di mercato, capire come entrare nel mercato che hai studiato, infine come consolidarlo. Partiamo per gradi.

  • Ricerca di mercato: bisogna che tu conosca (STUDI!) i generi e i titoli pubblicati dagli editori con i quali cerchi di lavorare, e tu legga i libri che ha prodotto. Non è una marchetta, anche perché l’editore non ha solo te come cliente, ci mancherebbe. Ma serve a te per CONOSCERE il catalogo e capire dove vuole arrivare la casa editrice che tanto ami. Poi, a quale tipo di pubblico è diretto il tuo romanzo? Questo pubblico cosa fa, dove si trova e quale abitudini ha? L’analisi non è facile, ma oggi tutti siamo connessi, e con un po’ di pazienza di può arrivare a farsi un’idea del proprio target.
  • Entriamo nel mercato editoriale: fate PR, relazioni pubbliche. Partecipate a fiere, presentazioni, eventi, premi letterari. Conoscete personaggi del settore editoriale e parlate con loro, fatevi dire quali sono i problemi e perché proprio il VOSTRO testo dovrebbe in parte risolverli. Lo so, non è da tutti, ma è un buon modo per farsi conoscere e capire dove sta andando l’attuale mercato.
  • Consolidare la presenza sul mercato: continuate ad aggiornarvi sul genere che più vi riesce meglio scrivere, leggendo gli autori competitor e conoscendo anche di persona (se possibile) gli editori che lo pubblicano, allargando così la cerchia di contatti professionali. Scrivete articoli su blog o riviste di settore, migliorate costantemente la vostra tecnica e continuate a frequentare fiere, eventi, festival di scrittura, puntando magari anche all’estero.

Il lavoro dello scrittore, dunque, non si ferma alla parola FINE sul proprio manoscritto, non basta saper revisionare il testo fino allo sfinimento. Ma è sempre più contatti, intessere relazioni, capacità di intuire dove sta andando il mercato, conoscere i propri lettori e anche, perché no, gli autori competitor. È faticoso e poco romantico, lo so, ma se azzeccate il libro giusto (per il mercato e per il target), gli editori vi daranno credito e saranno disposti a pagarvi meglio, a lavorare più spesso con voi e a gestire insieme un gruppo sempre più folto di lettori che vi chiederà la prossima novità in uscita.

Se tutto questo non fa per voi, potete sempre restare nel romanticismo della scrittura e rivolgervi a un agente letterario, che di mercato se ne intende! A voi la scelta e, come sempre, buona scrittura!

Per lavoro, sia come agente letterario sia come editore, leggo tutti i giorni manoscritti più o meno di qualità, di qualunque genere. Eppure, trovare un autore che sappia coinvolgere e mai stancare o glissare troppo sulle descrizioni non è facile. Lavorando soprattutto nel fantasy, dove la descrizione dettagliatissima di locande, armi, armature ecc. è ormai diventata un cliché, di rado mi stupisco dei manoscritti che leggo.

Mi stupisco in senso positivo, intendo.

Cosa vuol dire, innanzi tutto, descrivere? Vuol dire focalizzare, attirare l’attenzione del lettore su un oggetto, panorama, personaggio, situazione. Oppure, sviarla, come nel caso del thriller o giallo, ad esempio. Mi sembra che alle volte questo risulti difficile alla maggior parte degli autori emergenti, forse perché non conoscono bene cosa stanno descrivendo, ad esempio un luogo in cui non sono mai stati, o un’ambientazione che non hanno mai visto (ad esempio, una fabbrica o un convento di clausura). E qui, mio caro amico o amica autore/autrice, ti invito a farti un esame di coscienza: quanto hai studiato la tua ambientazione, quanto la conosci? Oggi, con il web, è più facile trovare video, blog o articoli che descrivano proprio quel che serve a te, nel tuo romanzo: sfrutta le possibilità della rete oppure, se è fattibile, visita quei luoghi e intervista le persone che vi abitano. Farà una grande differenza, in fase di stesura manoscritto.

Il rovescio della medaglia di questo eccesso di informazioni via internet è che il lettore ha visto, sentito e gustato di tutto, quindi non è facile improvvisare, mentre si descrive. E le descrizioni lunghe e dettagliate sono ormai obsolete.

Come ovviare a questo problema?

Mettendoci del nostro. Lo scrittore filtra la realtà, che lo faccia come narratore onniscente o personaggio immerso nella sua storia, darà un messaggio diverso di quel che vede, sente, gusta e tocca. È un modo per dare risalto a uno o più aspetti di un oggetto / ambiente / situazione ai quali il lettore non aveva mai fatto caso. E consente, se la descrizione è ben fatta, di costruire personaggi e ambientazioni realistiche, congruenti e piacevoli. 

Come autore che fa della descrizione un must, consiglio di leggere Raymond Carver, che è stato anche un grande insegnante di scrittura creativa: per lui, ogni aspetto della narrazione deve avere un senso logico. Studiarlo e leggerlo è, dunque, un modo per crescere di livello nella scrittura. Provare per credere!

ente casuale, ma che invece rispecchiavano delle esperienze di vita vissuta: si dice, infatti, che la scrittura abbia funzione catartica e, grazie anche al sostegno di un coach editor professionista, si possono riconoscere aspetti del proprio vissuto da esorcizzare scrivendo oppure, addirittura, da sottoporre a uno psicologo o psicoterapeuta. Il potere della parola e della scrittura è anche questo: a volte, risolve la vita di chi le usa.

Alla prossima e… buona lettura e buona scrittura a tutti!

Uno dei servizi più richiesti ad Agente Letterario è il coaching letterario, ovvero un accompagnamento di scrittura – a partire dal foglio bianco! – che l’autore o autrice riceve da parte di un editor professionista.

Si tratta, in pratica, di una serie di incontri a cadenza settimanale o bimestrale, dal vivo o tramite piattaforma web, nel quale l’editor sostiene la scrittura dell’autore o autrice. In genere, usufruiscono di questo servizio autori alle primissime armi, anche per acquisire tecniche di scrittura base, uno stile adatto al target scelto, un modo di esprimersi con la lingua scritta utile in ogni ambito della propria vita.

Si parte da un’idea, quella lampadina accesa che folgora dopo un sogno, durante la visione di un film o serie tv, dopo un’esperienza di vita vissuta, con un flashback o flashforward sulla propria vita (o vite passate/future). In sostanza, la folgorazione viene sempre da chi vuole scrivere.

Il primo incontro con l’editor serve per strutturare la trama e delineare quindi una scaletta (che può essere modificata in itinere). I primi esercizi pratici di solito vertono su costruzioni di personaggi, dialoghi, ambientazione, scene base e nodi cruciali della trama, genere e target del manoscritto, quindi, si stabiliscono degli obiettivi di stesura, via via, dei vari capitoli. L’autore o autrice consegna pagine o capitoli all’editor, seguendo la scaletta, oppure anche spezzoni di trama casuali (dipende dalle attitudini di scrittura, qualcuno predilige una stesura “casuale”, ad esempio, per poi sistemare tutto il manoscritto in un secondo momento). Il confronto con l’editor avviene con lettura delle pagine scritte, si analizzano le incongruenze e/o gestioni troppo vaghe di trama e personaggi. Si lavora anche sullo stile più adatto al genere che l’autore o autrice sta scrivendo. Lo scopo finale è raggiungere la prima stesura del libro in circa un anno, durante il quale – oltre a esercizi pratici – verranno assegnati anche dei manuali di scrittura, testi di narrativa ad hoc da studiare e leggere, da commentare poi dal vivo con l’editor.

Il coaching letterario è anche un allenamento, ad esempio per gli autori che hanno buone capacità di scrittura, ma si perdono con i tempi di stesura e hanno bisogno di qualcuno che solleciti le consegne del manoscritto. Si tratta di una sorta di personal training di scrittura, che, invece di allenare i muscoli del corpo di un atleta, allena la mente, il guizzo e l’arte narrativa di un autore o autrice.

È capitato qualche volta che uscissero fuori aspetti della vita di un autore o autrice, durante il coaching, messi su carta in modo apparentemente casuale, ma che invece rispecchiavano delle esperienze di vita vissuta: si dice, infatti, che la scrittura abbia funzione catartica e, grazie anche al sostegno di un coach editor professionista, si possono riconoscere aspetti del proprio vissuto da esorcizzare scrivendo oppure, addirittura, da sottoporre a uno psicologo o psicoterapeuta. Il potere della parola e della scrittura è anche questo: a volte, risolve la vita di chi le usa.

Alla prossima e… buona lettura e buona scrittura a tutti!

Buongiorno amici autori e colleghi editori! Oggi a parlare, anzi, a scrivere non sono io Agente letterario, bensì un amico autore e sceneggiatore, Giacomo Berdini. Descriverà le sue esperienze lavorative, qualche aneddoto e risponderà a un enigma antico come il mondo: meglio il romanzo o il film? A voi l’ardua sentenza. A presto e, come sempre, buona scrittura!

Dite la verità, quante volte vi è capitato, dopo la visione di un film, di sentire o pronunciare l’abusatissima frase “era meglio il libro”?

In passato ho interpretato questa affermazione come una volontà di mostrare la propria superiorità intellettuale, della serie: “Sì ok, il film è alla portata di tutti ma io sono molto più figo perché ho letto il libro”. Questa, però, è una visione un po’ riduttiva, lo ammetto.  

Il problema è che, spesso, trovandoci davanti all’adattamento filmico di un’opera letteraria, restiamo delusi di non trovare la stessa profondità, le stesse emozioni, quel senso di trepidante e intima scoperta che accompagna la lettura di un romanzo. Ma questo succede perché stiamo parlando di due mondi completamente differenti. Non ci credete? Ve lo dimostro, o almeno… ci provo!

La prima grande differenza sta proprio in noi, nel pubblico. Se ci pensate, il romanzo ci porta a immaginare, mentre il film ha il compito di mostrare, stimolando nel cervello due reazioni completamente diverse. Il libro, inoltre, ha una dimensione di lettura più personale e intima mentre il film nasce con lo scopo di essere condiviso in una sala, da un pubblico che si lascia trasportare dalle medesime emozioni, come passeggeri di una giostra a un parco divertimenti. 

Infine, e qui arrivo alla differenza più importante, la scrittura di un film segue regole e dinamiche molto diverse rispetto al romanzo. 

Da sceneggiatore di professione e sporadico autore di romanzi, mentirei se vi dicessi che scrivere un film o un libro è la stessa cosa. 

Ok, non ho mai lavorato all’adattamento di un romanzo per il cinema, ma conosco bene i due linguaggi nella loro complessa diversità. Sono due pianeti distinti che, pur condividendo certe dinamiche narrative, lo fanno utilizzando mezzi diversi. 

Non mi soffermo sull’ABC della scrittura, su come si progetta una storia, su tutto il lavoro di preparazione necessario a scrivere la prima parola su un foglio bianco; quello fa parte del mestiere di storyteller. In entrambi i casi, che sia libro o film, la preparazione è fondamentale e, a meno che uno non stia scrivendo un’opera in stream of consciousness senza una trama e con una sola voce narrante (Dio ce ne scampi) prima di mettersi davanti al computer a inanellare parole, va fatto un grandissimo lavoro di concezione e pianificazione. 

A parte questo, la sceneggiatura si differenzia dal romanzo perché è un tipo di scrittura molto più tecnica e piena di regole stringenti. La prima di queste è scolpita nelle tavole sacre della cinematografia dall’alba dei tempi: “Show, don’t tell”. Mostra, non dire.

Il film deve vivere di una vita propria svincolata dalla parola. Nel romanzo, invece, la parola è tutto. 

Nel libro ogni cosa è scritta nero su bianco, l’autore può immedesimarsi in ognuno dei personaggi come narratore onnisciente, sviscerare la parte più intima di ogni carattere sulla pagina, portando in emersione i pensieri più reconditi. In un film, se un personaggio è costretto a spiegare al pubblico come si sente… beh, forse gli sceneggiatori hanno toppato qualcosa! Certo, esiste sempre il comodo escamotage della voce narrante, ma va dosato bene e può diventare pesante o stucchevole. 

Se analizziamo la sceneggiatura nelle sue componenti base, tutto si riduce a due elementi: azione e battute. Stop. Questi sono gli unici strumenti a disposizione di chi scrive; tutto il resto va mostrato nel sottotesto, nel non detto, nella sospensione che si fa veicolo di emozione, anche attraverso il corpo degli interpreti, attraverso i silenzi. Per questo è così importante la figura del regista!

A questa prima “difficoltà”, si aggiunge un problema di durata. 

Un film, se supera le due ore e mezza, diventa una mattonata (a parte “Balla coi Lupi” e la Trilogia de “Il Signore degli Anelli” eheh!) 

Tralasciando i gusti personali, mediamente un lungometraggio dura sui 120 minuti. Ogni scena deve avere un fuoco e un senso che faccia sempre evolvere la storia, anche perché ogni scena costa soldi alla produzione e non ci si può permettere di spargere qua e là sequenze inutili o di approfondimento che, nella maggior parte dei casi, verranno tagliate ancora prima di iniziare a girare. 

Certo, anche nei romanzi, soprattutto oggigiorno, c’è un limite di pagine; gli editori non vogliono pubblicare libri lunghissimi perché i lettori ne vengono scoraggiati (l’ho imparato a mie spese), tuttavia, c’è sempre spazio per dire qualcosa in più rispetto a un film; un pensiero, una piccola descrizione capace di dare al lettore un dettaglio importante senza per forza interrompere l’azione.

Nella sceneggiatura, una pagina equivale più o meno a un minuto, quindi non si può andare da un produttore con un copione di 240 pagine e dire “tranquillo, non dura 4 ore, è che ci sono un sacco di didascalie!”

La sceneggiatura deve avere uno stile rapido, asciutto, le battute devono essere incalzanti e avere ritmo, tutto ciò che viene scritto deve essere finalizzato a una messa in scena efficace, anche a discapito del contenuto. Non avete idea di quante volte sento parlare a sproposito di “Buchi nella sceneggiatura” da persone che si riferiscono in realtà a una mancata spiegazione o a un salto temporale. Il film non ha il compito di spiegare tutto, anzi, deve mostrare l’essenziale per far procedere la storia. Con “buco” si intende un errore nel meccanismo della trama, una motivazione che non sta in piedi, una reazione non motivata o frettolosa, non il fatto che non ti ho fatto vedere dove il mio protagonista ha preso il drink che ha in mano; al massimo questo è un errore di continuità ma non mi addentro nell’argomento perché poi diventa tutto tedio. 

Cerco di concludere andando a toccare il punto più importante: la sceneggiatura segue una struttura ben precisa che definirei quasi rigida. 

A differenza del romanzo, che può fluire in modo più variegato, assecondando i tempi del racconto con maggiori dilatazioni, quasi tutti i film sono costruiti sulla base di uno schema in 3 atti, con un primo atto che dura tra i 15 e i 25 minuti, un secondo che copre i successivi 50 minuti, e un terzo atto di epilogo che, solitamente, non dura più di 20 minuti. Ogni atto, poi, è suddiviso in sottosezioni che sviluppano la trama seguendo twist e turning point ben definiti, come l’evento scatenante (o chiamata dell’eroe), il midpoint, il punto di morte ecc. Certo, ci sono film che giocano di anti-struttura ma, a meno che non siate Tarantino, ignorare la scaletta classica porta quasi sempre a ottenere un film traballante e un po’ incasinato (altra lezione imparata a mie spese). 

Comunque, se non credete a me, leggetevi “Save the Cat” di Blake Snyde che si è messo lì a “smontare” uno per uno i film più famosi di sempre riuscendo a isolare una struttura che risulta compatibile con il 99% dei lungometraggi. 

E qui voi vi chiederete: “Quindi gli sceneggiatori scrivono lo stesso film “over and over again”, cambiando i personaggi e le situazioni dentro lo stesso schema?” Assolutamente no. 

Immaginate gli sceneggiatori come degli sciatori che gareggiano seguendo lo stesso tracciato di porte sulla pista. Ti indica la strada fino al traguardo, ok, ma bisogna saper sciare bene per arrivare in fondo. 

E qui arriva un’altra domanda che mi sono sentito rivolgere spesso: “Ma quindi scrivere sceneggiature è noioso?” 

Allora, no. Se si ama scrivere, ma il romanzo è più divertente.

Tornando alla metafora dello sci (scusate ma sono cresciuto in montagna) scrivere un romanzo è come farsi una sciata su una pista libera. Scrivere una sceneggiatura è come fare una gara su un tracciato pieno di paletti e buche, con l’allenatore/produttore che ti cronometra e ti tiene d’occhio. 

La maggior parte delle volte, infatti, anche le sceneggiature si scrivono in squadra, componendo una writers’ room che metta assieme un autore forte sulla struttura, un altro bravo nei dialoghi, e un terzo che magari ha una mente più “registica”, non molto diversamente da quanto accada nei team agonistici.  

Comunque, dopo tutte ‘ste metafore sportive, tecnicismi e inglesismi più o meno leciti, torno alla domanda iniziale: è meglio il libro o il film? E chi cavolo lo sa? 

Esistono film belli o brutti, libri buoni o cattivi. Entrambi vanno valutati come versioni alternative della stessa storia, non come un’estensione uno dell’altro. 

Sono due opere distinte che si presentano al pubblico in forme e linguaggi diversi. 

Ci sono tanti libri che restano superiori ai loro adattamenti cinematografici, ma esistono film che hanno superato di gran lunga il romanzo da cui sono tratti. Uno su tutti? Fight Club. 

La pellicola di David Fincher spacca mentre il libro di Palahniuk… meh! 

E voi che ne pensate? Secondo voi c’è un film che ha superato il libro o siete membri del club “sempre meglio il libro”? Fatecelo sapere nei commenti!

Giacomo Berdini

Scrittore, sceneggiatore

Buongiorno amici autori e colleghi editori. Sono reduce dal Salone del libro di Torino, finito con record di ingressi e di incassi per molti miei amici ai vari stand. L’affluenza, stavolta anche all’Oval – il padiglione esterno con moltissimi grandi editori – è stata più che soddisfacente, con ottime vendite e un trend di lettori giovani in crescita.
Stavolta, dal 2019, quindi dopo 3 lunghi anni, finalmente il Salone è tornato a essere anche scambio di diritti. Mentre la mia casa editrice, Astro edizioni, era in prima linea a vendere i libri (fino al quasi esaurimento di tutti i volumi a disposizione!), io ero dietro le quinte al mercato che conta davvero: quello delle traduzioni e delle vendite dei diritti all’estero.
Ho trovato grande interesse sempre per la letteratura, che non stanca mai il pubblico, molto meno per i soliti generi letterari (quali gialli e thriller, ad esempio). La fanno anche qui da padrone i diritti dei libri per bambini e, da poco ritornati in auge, dei librogame. Peccato solo aver avuto la fiera del libro per bambini di Bologna un mese e mezzo prima, altrimenti gli editori di tale genere sono molto attenti alle novità di mercato.
Ho conosciuto nuovi editori, quali Buendia Books, che pubblica temi e autori soltanto del Piemonte, con una specializzazione che paga in termini di vendite, oppure Graphot, interessata al mondo dei vini e di storie vere di donne. Ho avuto molto da dire con agenti esteri, ad esempio Osiris Bookshop dal mondo arabo, Helsinki Agency dalla Finlandia.
Ci sono stati poi dei bei confronti con altri agenti letterari italiani, convenendo che ormai il mondo dello scambio dei diritti editoriali si trova – ahimè – fuori dall’Italia (Francoforte, Parigi e Londra su tutte), a parte la fiera del libro per bambini di Bologna, ancora eccellenza tutta nostrana.
Strano, ma vero, in prima linea tra i padiglioni e gli stand, giravano pochissime scuole e bambini, forse perché il Salone precedente si è tenuto a ottobre, nello stesso anno scolastico, limitando così le uscite istruttive di molte scolaresche. Almeno, anche stavolta i ragazzi del Piemonte avevano un buono libro da 10€ da spendere in libri!
In ogni caso, è stato bello salutare moltissimi editori e autori allo stand, parlare con loro dal vivo senza il filtro dei social network. Ho la sensazione che, almeno in editoria, la pandemia e le sue restrizioni siano solo un lontano ricordo.
Alla prossima fiera e, come sempre, buona lettura a tutti!

Come è nato il progetto “HO SCRITTO AMO SULLA RABBIA”

Laboratorio di Astro edizioni e Burattingegno teatro nelle scuole superiori

Quando ho aperto Astro edizioni, il mio scopo primario era pubblicare libri, prettamente di genere fantasy, che avessero anche uno scopo, un messaggio da lasciare ai lettori. Si sa, il fantasy è da sempre allegoria della realtà: i messaggi profondi, se narrati con l’allegoria, passano molto più facilmente nel cuore delle persone.

Un giorno, grazie al mio lavoro di agente letterario (sì, sono anche scout di nuovi talenti in editoria), mi ha contattato un autore che, sin dalle prime righe della sua e-mail, ho capito che era “diverso”. E per “diverso” intendo molto bravo nella scrittura, profondo, umile e determinato, sincero ed emotivamente collegato a questo mondo: Stefano Antonini.

Il suo primo libro – ma, attenzione, prima opera solo in narrativa, perché Stefano è poeta, scrittore di sceneggiature teatrali, attore e formatore professionista – Torna. Lettera di un padre al figlio omosessuale, mi ha colpito al cuore.

All’epoca, Astro edizioni non aveva una collana prettamente di narrativa, noi eravamo conosciuti per le nostre pubblicazioni di genere (fantasy e per bambini). Mai avrei creduto che, pubblicando un libro su una storia VERA, avrei fatto la fortuna della mia casa editrice. E non solo fortuna economica, dato che il libro di Stefano è un bestseller e long seller che ogni anno acquisisce nuovi lettori entusiasti, ma anche e soprattutto fortuna emotiva. Torna ha consentito a me e ad Astro edizioni, la mia creatura, di aprire le porte a Biblioteche, Centri culturali, Cultura omosessuale, Associazioni di stampo sociale e, finalmente, ora anche Scuole. Sì, perché Torna. Lettera di un padre al figlio omosessuale è un manifesto di accettazione delle differenze, con amore, che Astro edizioni abbraccia completamente: ha inaugurato una nuova e molto apprezzata collana editoriale, Storie di vita, e ha fatto breccia nel cuore dei genitori, degli insegnanti, dei ragazzi.

Grazie a Stefano Antonini e al suo libro, Torna. Lettera di un padre al figlio omosessuale, Astro edizioni sarà da oggi presente anche nelle scuole dalle medie in su, per puntare a progetti di inclusione e contro ogni forma di bullismo come questo, “HO SCRITTO AMO SULLA RABBIA”, promosso da Regione Lazio con bando POR FSE (fondi Unione Europea).

I ragazzi e le ragazze dell’IS Lucio Lombardo Radice di Roma, in una delle periferie più bistrattate della Capitale, sono stati i primi ad aderire al progetto, ma ce ne saranno molti altri, per creare una catena di consapevolezza che abbracci tutto il nostro Paese.

Questi ragazzi mi hanno lasciato tantissimo: l’adolescenza, oggi, con i mezzi virtuali, le chat di gruppo che possono divenire terreno di bullismo pesante e diffuso a tutta la scuola con un solo click, i social network e l’alienazione post quarantene sanitarie obbligatorie, è un campo minato. Speriamo, con questo progetto, di aver lasciato una scia di luce, una nuova strada da seguire. Di sicuro, a me questi ragazzi hanno lasciato moltissimo, una speranza per il futuro. Auspico che i miei figli, tra 10/15 anni, saranno pronti a difendere le loro idee come hanno fatto questi giovani oggi, con consapevolezza e determinazione.

Forza, ragazzi, io sono con voi!

 

Francesca Costantino

CEO e direttrice editoriale Astro edizioni

Buongiorno amici autori! Ho chiesto a un editor e autore che collabora con me da diversi anni, Giovanni Magistrelli, come approcciarsi alla scrittura.

In una serie di 5 articoli, vi darà la sua personale interpretazione (costellata di notevoli successi editoriali e lavorativi) di cosa può fare uno scrittore alle prime armi per migliorarsi, raggiungere la pubblicazione e promuoversi. Questo è il primo articolo, buona lettura!

Molto spesso, durante i firmacopie dei miei romanzi in libreria e alle fiere del libro, i lettori se ne escono con questa frase: «Complimenti, come ti invidio! Anche io da molto tempo vorrei scrivere, ma…».

Di solito, finisco di autografare con dedica il libro e poi li guardo. «Ma cosa?», chiedo loro, restando in attesa.

Le risposte che ricevo sono sempre uguali: «Non sono capace di scrivere; non ho tempo; poi, alla fine, chi mi leggerebbe?; ho iniziato tempo fa una cosa e poi mi sono fermato; come potrei mai scrivere un romanzo di 400 pagine come il tuo?; ecc.».

A tutti loro dico quello che vale per me (e, credo, per molti scrittori): si scrive perché è un bisogno e perché si sente di avere dentro di sé qualcosa da raccontare al mondo. Non fatelo domandandovi se diventerete autori di best-seller (ve lo auguro!) o, anche soltanto, se troverete una casa editrice (non a pagamento, mi raccomando) disposta a pubblicarvi. In realtà, mettetevi all’opera e scrivete soprattutto se volete leggervi. Voi stessi siete i vostri primi lettori.

Se non siete dei lettori, lasciate stare: lo scrittore che dice di non leggere non è un vero scrittore, ma uno che non lo diventerà mai. Io, per esempio, scrivo quello che vorrei leggere (e che spesso trovo in opere di altri autori). Se ciò che ho creato nero su bianco (o sul Word di un pc) non annoia me, allora ho qualche speranza che possa interessare pure qualcun altro.

Inoltre, come si dice, “non si nasce imparati”; gli autori di best-seller, come anche di classici, non sono giunti ai livelli che noi conosciamo in un solo giorno o al primo libro. Esiste, tuttavia, una ricetta per scrivere? Nessuno ha il verbo in proposito, neppure uno navigato e di successo da mezzo secolo come Stephen King (il mio “dio narrativo” personale); quindi, figuriamoci se ce l’ho io, giunto appena al quinto libro! Però voglio provarci, come un pasticciere che vi consiglia quali ingredienti ci vogliono per preparare una buona torta di mele.

Prima di tutto, esercitarsi tanto, all’inizio con racconti brevi, prima di affrontare un percorso lungo come un romanzo. Continuare a leggere molto, perché dovete “rubare il mestiere” ai vostri autori preferiti. Avere un’idea più o meno originale da cui partire e da sviluppare, facendola crescere con pazienza, amore, impegno. Dare a questa passione il maggior tempo possibile (mandate al diavolo social, videogiochi, chat, ecc. e vi accorgerete quanto tempo sprecate in cose inutili) ed essere disciplinati (non sempre si ha voglia di scrivere, ma ci si costringe, per combattere sia la pigrizia, sia la paura del foglio bianco). Come anticipato, non voglio comportarmi da maestro (ogni giorno scopro quanto ne so poco e ogni giorno cerco di migliorarmi): ho tentato semplicemente di spiegarvi come mi comporto io, per sperare di arrivare ad autografarvi una copia dei miei romanzi in una libreria della vostra città. Buona scrittura (e buona lettura)! 

Lo scrittore ed editor Giovanni Magistrelli, dopo una vita passata a viaggiare da poliglotta da un continente all’altro, inizia la sua avventura editoriale nel 2014 con la raccolta di racconti Gli occhi di Bryan (Youcanprint, 2014), a cui fa seguito la partecipazione al libro Milano in centoparole (Giulio Perrone Editore, 2015) con la storia Milano è cambiata. Contribuisce con i racconti: Il matrimonio di Patricia al volume Ophelia’s Love Writers (Libri Asino Rosso, 2017) e Il castello sul lago all’antologia Nello specchio (Edizioni SensoInverso, 2018). Pubblica quindi il romanzo thriller-urban fantasy Il tempo degli dèi (Astro Edizioni, 2018) e l’autobiografia/diario Sconcertato. Guida alla sopravvivenza fronte palco (ChemCapt Autori, 2018). L’anno successivo, esce il romanzo thriller distopico di fantapolitica L’Unione nel mirino (Astro edizioni, 2019). Nel marzo 2022 sarà pubblicato il noir I volti dell’Apocalisse (Astro Edizioni).

Buongiorno, amici autori!

Sapete, ogni editor e agente letterario ha la sua specializzazione. La mia, in particolare, è in narrativa genere fantasy. Ne leggo, scrivo, correggo da decenni, ormai. Sono quindi anche appassionata, oltre che professionalmente portata per questo genere.

Ebbene, uno dei più grandi cliché in cui cadono gli autori emergenti, nel fantasy soprattutto (ma non solo), è eccedere in meticolose e particolareggiate descrizioni di armature, locande, cibi, personaggi anche secondari, ecc.

Ripeto, è un tipico errore nel fantasy, eppure l’ho trovato anche nella narrativa di genere romance, in quella non di genere, persino nei thriller che dovrebbero invece garantire un ritmo più veloce.

Eh, sì, perché la descrizione questo fa: rallenta il ritmo, l’azione.

Può essere voluta, dopo una scena d’azione, per placare i cuori del lettore, rimasti col fiato sospeso dopo un gigantesco colpo di scena. Serve per introdurre un personaggio importante, sebbene io apprezzi descrizioni “spennellate”, piuttosto che a tinta unita.

L’eccessiva descrizione, in ogni genere letterario, causa una reazione fondamentale nel lettore: noia. Ammorba, stanca. Io personalmente chiudo il libro e non lo riapro più.

D’altra parte, una descrizione del tutto assente o molto blanda lascia di solito i lettori insoddisfatti per degli incompiuti nella narrazione. 

Cosa fare, quindi? Non venite a dirmi: “Eh, beh, ma i grandi classici del romanzo sono pieni di descrizioni!”. Vero, infatti al lettore moderno (non abituato) vanno poco a genio. Oggi la comunicazione è veloce, immediata, abbiamo accesso nelle nostre mani e sempre (via smartphone, ad esempio) a un’infinità di informazioni, scritte, e anche audiovisive. Quindi, se io autore sto parlando della Torre Eiffel a Parigi, inutile soffermarmi sulla sua costruzione o imponenza, se non per brevissimi tratti, dato che tutti i lettori possono ottenere informazioni dettagliate su di essa, in qualunque momento. Meglio allora darne una descrizione emotiva, dal punto di vista del personaggio, attraverso i suoi sensi.

Nella narrativa moderna, sempre più, si tende ad avere un approccio minimalistico alla descrizione: si rivelano alcuni dettagli in ordine logico, ad esempio, oppure si danno due-tre dettagli in ordine sparso.

Vi do un consiglio pratico: realizzate una scaletta delle parti del vostro romanzo (scene descrittive, scene d’azione, dialoghi ecc.) prima di iniziare a scrivere. Se le parti non sono in armonia tra loro, se le scene descrittive sono più lunghe delle altre o in eccesso, rispetto al contenuto del romanzo, tagliate. E poi, rileggetevi ad alta voce, una volta finito di scrivere. Vi annoierete da soli, quando l’eccesso di descrizione avrà preso il sopravvento.

Buona scrittura!